“La bambina nascosta”, una fiaba per raccontare il dramma dell’Olocausto ai bambini (FOTO)

Stefano Pitrelli, L’Huffington Post

BAMBINA NASCOSTA

Una fiaba ambientata durante l’Olocausto suona un po’ come un paradosso, soprattutto se il pubblico per cui è scritta sono veramente i bambini. Eppure “La bambina nascosta” (ed. Panini) ci riesce. E lo fa perché — più vicino ad Anna Frank che a Benigni — non c’è niente di surreale, di giocoso o magico nella storia che racconta.

Lo fa perché non sottovaluta le capacità d’osservazione di un bambino, sottostimandolo in quanto creatura ignara del mondo intorno a sé, ma lo rispetta trattandolo come una (piccola) persona. Lo fa perché non gl’indora la pillola, quando l’innocenza si confronta coi simboli e le conseguenze dell’odio, come il pestaggio da parte di alcuni soldati tedeschi di un commerciante ebreo per le strade della Parigi occupata. Semplicemente, comprensibilmente, la protagonista non riesce a darsene una spiegazione. D’altra parte il tratto — per così dire — “kid-friendly” di Lizano, l’illustratore di questa graphic novel, non fa che rendere ancor più repellente la scena, che potete osservare nella gallery, pubblicata qui in esclusiva dall’Huffington Post.

“La bambina nascosta”: una fiaba per raccontare il dramma dell’Olocausto ai bambini

© LIZANO / DAUVILLIER / SALSEDO – ÉDITIONS DU LOMBARD (DARGAUD-LOMBARD s.a.) 2014. Per l’edizione italiana © Panini Comics

La difficoltà del bambino nell’interpretare e nel contestualizzare le ragioni dell’antisemitismo sono le stesse di un lettore che non le abbia mai sperimentate sulla propria pelle: ‘Perché?’. E l’immedesimazione in un personaggio che non ne sa niente rende l’orrore e l’assurdità del nazismo ancora più sottile, permeante. Come si fa a raccontare con delicatezza qualcosa di brutale? Mostrandolo attraverso gli occhi di chi non ha gli strumenti — o meglio, di chi ha ancor meno strumenti degli adulti — per decifrarlo.

“La bambina nascosta” illustra con particolare efficacia la realtà che muta intorno a Dounia Cohen, protagonista della narrazione, drasticamente e da un giorno all’altro, un po’ come un’Alice che attraversa lo specchio. Uno specchio molto scuro, oltre il quale per sopravvivere sarà costretta a cambiare anche lei, abbandonando la propria casa, la propria famiglia, la propria religione e la propria identità.

All’inizio del racconto c’è il padre che prova a spiegare alla figlia il perché d’ora in avanti le toccherà indossare la stella gialla a sei punte: “Stamattina ho partecipato a una riunione importante. Mi hanno chiesto se volevamo diventare una famiglia di sceriffi. Mi sarebbe piaciuto discuterne con voi prima di prendere una decisione, ma… volevano una risposta subito. E allora ho accettato”. In questa fiaba però, le bugie salvifiche à “La vita è bella” o à la “Jakob il bugiardo” reggono poco. Non c’è nessun carro armato in premio alla fine, nessun “abbiamo vinto” gridato con gioia: in alcun momento di questa fiaba — una fiaba per molti versi più dura di tanti film — ci si illude che perfino agli occhi di una bambina l’interpretazione giocosa di una stella gialla offerta dal padre possa sostenere il confronto con la verità della persecuzione.

La maestra di scuola che fino al giorno prima nei suoi confronti non aveva manifestato alcun problema, il giorno dopo cambia repentinamente tono, e in sostanza si trasforma in un’altra persona, tanto che il momento ricorda quello in cui la Coraline di Neil Gaiman affronta la versione malefica della mamma, l’Altra Madre: “Dounia! Prendi le tue cose e vai a sederti in fondo all’aula […] una come te dovrebbe solo ringraziare di poter venire ancora a scuola”.

Quando poi Dounia pensa fra sé: “Cos’avevo fatto di male? Perché la maestra era così arrabbiata con me?”, ti rendi conto che questa sarà una di quelle domande davvero difficili a cui rispondere, se sarà il lettore-bambino a portela. Perché un collaborazionista è molto più difficile da capire di un Jabberwocky. Domande difficili quanto necessarie. Così come quest’altra: “Non sapevo ancora cos’era un campo [di concentramento]… e nessuno me lo spiegava. Non era per cattiveria, volevano solo proteggermi. Con i miei occhi da bambina, capivo comunque che si trattava di un posto incredibilmente crudele”.

La storia narrata ne “La Bambina Nascosta” è racchiusa all’interno di un’altra, ambientata nel presente, che ci mostra la protagonista ancora viva, mentre condivide i propri ricordi con la nipotina. “Doveva essere un incubo paurosissimo”, osserva la bambina scoprendola desta nel cuore della notte. A lei, il nazismo la nonna dovrà spiegarglielo, ma è sempre meglio che scoprirlo da soli, sulla propria pelle. E questo passaggio del testimone generazionale, già di per sé, è un lieto fine.

(“La Bambina Nascosta” — titolo originale: “L’enfant cachée” — di Marc Lizano, Loïc Dauvillier e Greg Salsedo, è in uscita a dicembre per la collana ‘Novellini’ di Panini)