Il sigaro cubano negli Stati Uniti, da mito a mazzetta. La diplomazia del “frutto proibito” dei fumatori

Stefano Pitrelli, L’Huffington Post

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Il 17 dicembre scorso il Presidente degli Stati Uniti ha preso in mano il sigaro cubano che gli era stato offerto al party di Chanukkà della Casa Bianca, lo ha portato alle narici e ne ha inalato il profumo, esclamando estasiato: “Niente male!”.

Per Barack Obama, che ha dichiarato di aver smesso di fumare da anni per “paura della moglie” — ma che comunque il sigaro poi se l’è tenuto per sé — si è trattato di un piccolo gesto, per quanto ‘rischioso’ per i propri equilibri familiari. Simbolico della svolta diplomatica, ma anche concretamente in grado di anticipare le prime conseguenze commerciali del disgelo Havana-Washington. Il gesto ha fatto la rima con quello del suo lontano predecessore John Kennedy, che quando impose l’embargo — rendendoli illegali in America sin dal 1962 — s’accertò prima di farsene arrivare alla Casa Bianca una bella scorta per uso personale (1200 circa).

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Dal 16 gennaio di quest’anno il Dipartimento del Tesoro americano ha stabilito (fra le altre cose) che gli americani in viaggio a Cuba potranno legalmente infilare nel proprio trolley una quantità di prodotti di tabaccheria acquistati sull’isola non superiore al valore di cento dollari. Cifra che — come osserva la rivista di settore Cigar Aficionado — in effetti non garantisce propriamente uno shopping selvaggio: a Cuba la classica scatola da 25 sigari ne costa mediamente di più. E nello specifico, se un singolo Partagás Serie D N. 4 di dollari ne costa già sette, il turista americano potrà portarsene a casa meno della metà. Non è ancora l’apertura alla loro commercializzazione, ma certo è un passo in quella direzione.

Come cambieranno le cose per i fumatori americani? All’HuffPost lo spiega Douglas McCoy del Carmel Pipe Shop, storico negozio di tabacco sulla costa californiana, con oltre trent’anni d’esperienza nel settore.

In America il cubano è talmente diventato un simbolo di potere che di recente un contractor della Difesa si è dichiarato colpevole di aver adoperato proprio i sigari cubani (insieme alle più classiche mazzette, regalie e prostitute) per corrompere ufficiali della Marina statunitense e ottenere appalti nei porti asiatici. Si può dire che sia diventato quasi più desiderato in quanto frutto proibito, che in quanto sigaro pregiato?

Mi sembra un’interpretazione corretta. Sì, penso che da noi ci sia una certa percentuale di gente che in effetti aspira al cubano semplicemente perché è un tabù. Che poi è un vero peccato per quei sigari.

Ma poi quanto sono davvero difficili da ottenere, negli Stati Uniti?

Gli americani è da anni che sono diventati consumatori abitudinari dei sigari cubani. In tanti hanno amici che viaggiano all’estero. In tanti li ordinano illegalmente attraverso internet. […] È facile come aprire il proprio computer. Ai venditori non importa, e per l’acquirente il rischio è minimo: se alla dogana decidono di controllare il tuo pacco, ti mandano un biglietto e ti avvisano che è stato confiscato. Quindi la gente lo fa regolarmente. In più conosco parecchi negozi, non nella nostra zona ma nelle città più grandi, dove entri e semplicemente chiedi della riserva “speciale”. Quindi non è che gli americani siano proprio all’oscuro su che cosa significhi fumare un cubano. Ce n’è parecchia di gente che già se li gode. […] Ci sono perfino tanti non-fumatori che ne cercano, di nuovo, perché è un tabù.

al pacino

E per la sua “mistica”!

E per la sua mistica! Il cubano è innanzitutto il paradigma del sigaro nel mondo, lo era già da prima dell’embargo. Se sei un amante e un collezionista della pipa, è facile concordare sul fatto che la radica italiana sia fra le migliori al mondo. I cubani sono la stessa cosa nel mondo dei sigari. E da noi la loro indisponibilità da sola ha contributo a formare la domanda. L’aroma del sigaro cubano è inconfondibile, il mio preferito. [Ma non è il solo, e non è necessariamente il migliore].

sigaro

Chi è che minaccia il predominio del cubano?

[L’embargo] cogli anni ci ha dato l’opportunità, per necessità, di assaggiare, fumare, affezionarci e innamorarci di sigari di altre nazionalità. Da venti, trent’anni e forse più molti americani sono propensi a pensare che la produzione di sigari della Repubblica Dominicana, dell’Honduras e del Nicaragua sia superiore. È una questione di migliore controllo della qualità. E i controlli di qualità richiedono parecchio denaro. Nessuno si sognerebbe di disdegnare l’aroma del tabacco cubano. Ma da un bel po’ di anni ormai i controlli sulla qualità sono diventati carenti, fatta eccezione per i marchi più noti a tutti, sui quali il governo cubano s’accerta di tenere alta la guardia. […] Il fumatore americano tende ad essere un consumatore più esigente, per il semplice fatto che ha avuto modo d’assaggiare una gamma di prodotti più ampia di quelli normalmente disponibili in Europa e in Asia, dove vige il predominio dei cubani, disponibili da sempre in grande quantità.

Come potrebbe cambiare il mercato nel momento in cui il sigaro cubano dovesse sbarcare liberamente negli Stati Uniti?

Quando l’embargo verrà effettivamente sollevato […] non potremo certo aspettarci immediatamente un grande afflusso di scatole. […] I cubani non saranno in grado di aumentare da subito la produzione: se c’è una cosa che in natura non è possibile fare è accelerare la produzione dei sigari. In secondo luogo, che succede quando le scorte sono poche? Il prezzo sale. E così sarà per i cubani, bisognerà pagare molto di più. Ora, per chi li acquista illegalmente, e già paga di più perché passa dal mercato nero, non ci sarà grande differenza. Ma per il fumatore americano medio, che è abituato a spendere intorno ai dieci dollari in sigari, cioè una fascia di spesa che ti offre una grande varietà di ottimi prodotti nicaraguènsi e honduregni, a quella cifra un cubano non lo troverà mai. Magari verrà a provarlo una volta, ma poi…

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