Scommessa da 100 mila nuovi occupati

ATTUALITA’ / Combustione dei rifiuti, eolico e fotovoltaico, tutte le opportunità dell’industria italiana.

Anche se in Parlamento non siede più neanche un deputato verde, l’ambientalismo in Italia è vivo e vegeto. E trae nuova linfa dall’industria: quella che guarda alle fonti rinnovabili e alla sostenibilità, prospettando oltre 100 mila nuovi posti di lavoro verdi. E grossi affari. Certo, a patto che l’Italia non perda il treno, e che la burocrazia non ci si metta in mezzo. Le energie rinnovabili sono probabilmente uno dei settori in espansione del prossimo futuro: tutto sta nella volontà dell’Italia di tener fede agli impegni presi in ambito europeo.

Il nostro Paese ha promesso a Bruxelles di portare la quota delle energie rinnovabili sul totale delle fonti dal 7 per cento attuale a un più ambizioso 17 per cento entro il 2020. Una boccata d’aria anche per l’occupazione e l’economia: stando alle stime dell’Associazione produttori di energie rinnovabili, infatti, si verrebbero a creare fra 50 e 100 mila nuovi occupati. I quali andrebbero a contribuire ogni anno al nostro Pil per un valore fra i 3 e i 5 miliardi di euro. E questo senza considerare gli investimenti che le aziende del settore sprigionerebbero: una cifra che al 2020 può raggiungere addirittura i 75 miliardi. Insomma, un vero miraggio per un paese in recessione.

Ovviamente puntare sull’energia verde non può dirsi una scelta a costo zero. Si tratta di fonti che oggi, per poter risultare convenienti, hanno bisogno di un piccolo aiuto. Una spintarella che, sempre secondo l’Aper, si traduce in 5,4 miliardi all’anno, “ma potrebbero ridursi a quattro se si allentasse la burocrazia e se si potesse fare affidamento nel tempo su questa promozione”, sostiene il direttore Marco Pigni. In ogni caso l’energia pulita conviene, per non parlare della riduzione dei consumi di gas e petrolio, delle emissioni di anidride carbonica. E della maggiore tutela dell’ambiente.

Ma nella scuderia delle rinnovabili, su quali scommettere per portare crescita e lavoro in Italia? In testa ci sono eolico, fotovoltaico e combustione dei rifiuti (sia civili che industriali), mentre c’è poco da attendersi dall’idroelettrico e dal geotermico, che per così dire, hanno già dato. “È il vento che garantisce le prospettive migliori”, dichiara Pigni, che spiega come “dai 3.100 megawatt attuati si può passare a 14 mila nel 2020. Sempre che si superi l’ostacolo principale: le Regioni, che spesso bloccano progetti validi”. Rincara la dose Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy & Strategy Group al Politecnico di Milano: “Non si può negare che per l’eolico nel nostro paese esista un ‘effetto nimby’: ok, ma non a casa mia”.

In classifica, subito dopo l’eolico troviamo il fotovoltaico. La corsa all’oro solare presenta un mercato che al Politecnico quantificano in un miliardo di euro, con una produzione di megawatt quasi quintuplicata in un solo anno. In crescita, dunque, ma con un rischio, come nota Pigni: che le banche, per via della crisi, stringeranno sui prestiti. Di tutt’altro avviso Luigi Paganetto, presidente dell’Enea, fiducioso del fatto che “dalla crisi verrà una spinta all’innovazione”.

Grandi attese. Peccato che di quei 75 miliardi di investimenti, molti potrebbero volare all’estero. Entrambe le filiere industriali, sia per l’eolico che per il solare, da noi sono monche. A monte, manca chi produce pale e celle, ossia gli strumenti per raccogliere vento e sole. L’Italia non ha un’industria di pale eoliche: l’89 per cento del mercato è dominato dalla danese Vestas, dalla spagnola Gamesa e dalla tedesca Enercon. Le imprese che producono celle, invece, dalle nostre parti si contano sulle dita di una mano: Eni, Solsonica, XGroup, Helios Technology più l’ultima arrivata, Omniasolar. La loro quota del nostro mercato è minima, appena il 10-15 per cento. Pigmei, rispetto alla berlinese Q-Cells o alla Sharp. Poche di più quelle che producono i pannelli: secondo il Gruppo imprese fotovoltaiche italiane, una ventina (incluse le suddette cinque). In questa situazione gli incentivi offerti dall’Italia per il solare (i più allettanti d’Europa) fanno di noi un appetibile terra di conquista. Infine ci sono le cosiddette bioenergie, ricavate dai rifiuti provenienti dalle città, dalle industrie e dalle campagne.

Il futuro dell’energia pulita va di pari passo con la capacità d’integrazione.

In più di un senso: da un lato nelle centrali, dall’altro sul territorio, in settori come quello della cosiddetta ‘eco-edilizia’, dove l’energia pulita inizia a entrare nel nostro quotidiano, magari nascondendosi in una tegola. È il caso della Geovest Srl, azienda municipalizzata tra Modena e Bologna, premiata da Legambiente e dalla Regione Lombardia per aver installato 17 impianti solari in edifici pubblici. O della cosiddetta ‘Leaf House’ del Gruppo Loccioni, primo esempio di casa a impatto ambientale nullo: “Il fabbisogno energetico per il riscaldamento”, si legge, “è di 16 kwh a metro quadro l’anno rispetto ai 180 della media degli edifici italiani”.

E per la prima volta in Italia adesso vengono dedicati all’ambiente pure dei distretti industriali. È il caso di un bel pezzo dell’area ex Italsider di Napoli. A Bagnoli, dove una volta c’era l’acciaieria, sorgerà dal 2012 un polo tecnologico dell’ambiente. Sette ettari in cui s’insedieranno 150 aziende ed enti di ricerca che dovranno far nascere una Silicon Valley dell’ambiente. Un progetto importante per la città, che a regime dovrebbe dar lavoro a 800 tecnici altamente qualificati.

Infine la nautica, che imita l’auto e punta su ibridi e veicoli poco inquinanti per uscire dalla crisi. Quest’anno al Salone nautico di Genova il Gruppo Ferretti ha presentato il primo yacht sopra i 20 metri con un motore che va sia a diesel che a elettricità. E permette di navigare per due ore senza consumare gasolio, o emettere gas nocivi.

(L’Espresso, 27/11/2008)