La dieta Tremonti

ATTUALITA’/ Meno insegnanti, meno assistenza, meno sicurezza, meno posti per i giovani, stop alle infrastrutture e servizi ridotti. Ministeri e comuni devono tagliare altre nove miliardi. Mentre gli sprechi continuano. E aumentano le consulenze esterne.

 

Glielo poteva spiegare anche un dietologo, a Tremonti, che una dieta non si fa mettendo a pane e acqua il bambino obeso. Altrimenti oltre al grasso se ne vanno via anche i muscoli. È quanto sta accadendo alla nostra pubblica amministrazione, flagellata dai tagli di questo governo. Che colpiscono nel mucchio, senza darsi la pena di andare a distinguere gli sprechi acclamati dalle punte d’eccellenza.

La madre di tutti i tagli è la manovra triennale dell’anno scorso. Per intenderci, si tratta della Finanziaria passata alla storia come “quella da nove minuti e mezzo”, tanto ci impiegò il consiglio dei ministri ad approvarla. Zero discussioni, 33 miliardi di euro cancellati nei budget ministeriali per il triennio che va dal 2009 al 2011. A un ritmo implacabile: 8 miliardi e mezzo quest’anno, 9 l’anno prossimo e addirittura più di 15 nel 2011. “Il vero problema non è l’entità dei tagli – osserva Michele Gentile della Cgil – ma il fatto che invece di colpire i singoli sprechi si costringe anche quelle amministrazioni che lavorano bene a tirare la cinghia”. Non a caso la spesa per consulenze, dove si annidano regalie e clientele politiche, continua a salire. Lo dimostrano gli stessi dati del Ministero della funzione pubblica, secondo cui gli incarichi esterni sono aumentati del 13 per cento nel 2008, per scalare la vetta del miliardo e mezzo di euro.

La manovra triennale, poi, non ha solo ridotto carburante alla macchina statale, ha messo pure sabbia negli ingranaggi. Decretando di fatto il blocco del turnover: potrà essere assunto un nuovo impiegato solo se ne andranno in pensione cinque. Un capestro necessario per sfrondare la selva di dirigenti e impiegati, ma che blocca ogni ipotesi di svecchiamento per quella che è la prima azienda italiana. Tagliare e licenziare, ossia la pubblica amministrazione dell’anno che verrà.

A partire dalla scuola. È da lì che verranno più di sette miliardi e mezzo in quattro anni (fino al 2012). Sono un bel gruzzolo, ma vogliono anche dire 87.500 docenti, e 44 mila altri posti di lavoro in meno (fra bidelli e segretari). La dieta dimagrante dell’accoppiata Tremonti-Gelmini crea evidentemente un bel po’ di disoccupati, come fa notare Maria Domenica Di Patre, vice coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti – che per questo chiede il pensionamento volontario anticipato di due anni per far assumere nuovi precari – “ma qualche disagio lo creerà anche agli allievi. Che fra l’altro avranno sempre meno ore di lingue, e negli istituti tecnici non potranno più imparare i software di videoscrittura”. Con tanti saluti a “internet, inglese e informatica”, vecchio motto di Berlusconi. I grandi numeri, però, non rendono l’idea quanto la testimonianza di chi i tagli li vive. Come Anna Cavagnuolo, professoressa d’inglese al “Marco Polo” di Benevento: “Il nostro istituto è quello più frequentato da gravi portatori di handicap, perché siamo dotati di strutture per accoglierli. Per cui abbiamo classi da oltre trenta alunni, frutto degli accorpamenti, con anche cinque disabili. Peccato manchino spesso i docenti di sostegno, così non riesco a portare avanti la didattica: è difficile seguirli, ed è difficile insegnare. A volte mi sento più un’assistente sociale che un’insegnante”.

L’aria che tira non migliora dalle parti dell’università italiana. La maggior parte dei nostri atenei, infatti – come avverte Domenico Pantaleo, segretario generale della Cgil-Flc – rischia di subire il blocco delle assunzioni a partire dall’anno prossimo, e se non si interviene, non potranno rimpiazzare il personale che lascia il servizio. “E ci saranno atenei che non potranno non dico pagare la ricerca, ma neanche l’offerta formativa”.

“Quando ho dimezzato le facoltà, eliminato gli atenei federati, ridotto a un terzo i dipartimenti, tagliato del 18 per cento i corsi di laurea – e troppi altri ne taglierò – azzerato i fondi di rappresentanza, e quando poi vado al lavoro con la mia macchina, che altro devo fare?”, si chiede Luigi Frati, rettore de “La Sapienza” di Roma, che si è visto tagliare dieci milioni di euro. “Alla peggio non approverò il bilancio preventivo e chiederò il commissariamento”. Non meno malinconico Fulvio Esposito, rettore di Camerino: “Posso scoraggiare il fuori-corsista, non posso immaginare di raddoppiare le tasse per compensare il minore finanziamento pubblico. Ma sono arrivato al limite, e il prossimo passo sarà tagliare su luce, acqua e riscaldamento. I dipartimenti si fermeranno alle diciotto, cosa che avrà un impatto rovinoso sulla ricerca biologica, visto che gli animali da laboratorio non hanno orari d’ufficio. È vero, noi rettori di colpe ne abbiamo tante, e dovevamo cambiare da tempo, ma non credo neanche che la bestia affamata cammini più veloce”.

La dieta Tremonti non si interrompe neanche di fronte a uno dei piatti forti del programma elettorale Pdl (“più uomini e risorse per le forze dell’ordine”). In tre anni Interno e Difesa si vedranno soffiare 3 miliardi di euro. Al danno la beffa: la finanziaria di quest’anno li taciterà con un contentino da 100 milioni. Il che si traduce, inevitabilmente, in un amaro anti-slogan: meno sicurezza per tutti. Come? Ad esempio risparmiando sugli etilometri. Il Viminale, alla richiesta del Sindacato  autonomo di polizia di dotare tutte le volanti dell’alcool-test, ha risposto in maniera laconica: giusto, ma non ci sono soldi. Proprio mentre i dati Istat annunciano una diminuzione dei morti per incidenti stradali grazie ai maggiori controlli di polizia e carabinieri. Ma c’è di peggio: gli stessi poliziotti a volte hanno altro a cui pensare invece che dar la caccia ai criminali. Per una settimana la questura di Foggia è rimasta al buio, mancavano i soldi per riparare la cabina elettrica. I commissariati di Cerignola e quello romano di Vescovio, poi, si sono visti arrivare i “colleghi” carabinieri in compagnia dell’ufficiale giudiziario, perché sotto sfratto. I tagli non risparmiano neanche le tradizioni: numerose questure hanno fatto sapere che per il 2010 sarà ridotta la quota di calendari dati “a gratis”, invitando i propri dipendenti a “valutarne attentamente la distribuzione”. D’altra parte gli sprechi sono duri a morire, come quegli 11 milioni pagati ogni anno alla Telecom per il noleggio di 400  braccialetti elettronici: concretamente solo dieci detenuti in tutta Italia li portano. Per un affitto record di più di un milione l’uno. “Siamo inferociti, e con Tremonti, e con questo governo che non mantiene le promesse. Persino Prodi ci aveva trattato meglio”, si lamenta Nicola Tanzi, segretario del Sap, sindacato autonomo ma che guarda a destra.

Per risparmiare, evidentemente, c’è modo e modo: si può tagliare sugli sprechi, o si può “fare economia” sulla pelle della gente. Come i nostri soldati: per capire in che condizioni si trovano a lavorare non basta fermarsi agli stanziamenti per la Difesa. Il problema è come i soldi vengono spesi. “Si va a tagliare sulla formazione, sull’addestramento, sulla manutenzione ed efficienza di armi, mezzi e infrastrutture” spiega Luca Comellini, segretario del Partito per la tutela dei diritti dei militari (cioè quanto di più vicino a un loro sindacato sia lecito avere in Italia). In particolare per l’esercito le spese di addestramento diminuiscono del 50 per cento, e peggio va all’aeronautica. Ce lo racconta per esperienza quotidiana, in via riservata, un maresciallo che di Tornado ne sa qualcosa: “Il trapano, lo svitatore, te li porti da casa. Per comprare il pezzame (la carta per pulirsi le mani nell’officina), si fa la colletta. I guanti di gomma da lavoro, indispensabili, il magazzino non te li dà. Ma non c’è da sorprendersi: se è per questo ti tocca comprare anche i gradi e le medaglie”. Tutto si ripercuote sulla sicurezza, perché “messi di fronte ad apparecchi che valgono grosso modo 50 milioni di euro, come un Tornado, se ti arriva addosso un getto di olio idraulico, o carburante, spesso non hai neanche l’apposita vaschetta per lavarti subito gli occhi”. Oppure si lavora in strutture precarie, e può succedere che, “non essendoci hangar disponibili, si finisca a lavorare sotto i tendoni. D’estate o d’inverno”. A volte un parcheggio non lo trovano neanche i caccia. E ai piloti non va meglio: quando sono in Italia non c’è il carburante per fare le ore di volo di cui hanno bisogno per tenersi in allenamento. “Cosa che al cittadino meno interessato potrebbe risultare indifferente”, chiosa Comellini, “ma quando ad esempio l’elicottero non può più venirti a salvare in mare, in montagna, o in qualsiasi altro posto, la prospettiva cambia”. In “compenso” crescono le spese per le funzioni di indirizzo politico (ossia quelle del Ministero, fra consulenze, consiglieri, portaborse e simili), mentre permangono quelle fra l’inutile e l’assurdo come le cure per l’artrosi del cane militare (che si prende 20mila euro) e la telemedicina. Che cosa significa “telemedicina”? Che se finisci sotto un carro armato puoi fare una telefonata al tuo medico, per la modica cifra di 1,4 milioni di euro.

In un paese dove la velocità dei processi pare più importante della crisi, vai a vedere e scopri che nell’ultimo decennio cancellieri e impiegati, i “macchinisti” della giustizia, non hanno fatto altro che ridursi di numero: oggi poco sopra i quarantamila, dai cinquantamila del 2001. “Il che significa ritrovarsi con un personale amministrativo anziano e demotivato, senza prospettive di crescita professionale. Insomma, siamo in ginocchio”, denuncia Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione nazionale magistrati. Quindi si risparmia sul personale, ma si risparmia pure sugli strumenti che per definizione servirebbero ad accelerare i tempi del lavoro, visto che “non esiste più alcun investimento sull’informatica, sulla digitalizzazione dei sistemi. Mancano computer e stampanti”. In compenso i tribunali si sprecano. Facendo riferimento a dati diffusi dal Tesoro, l’Anm ne conta 67 ‘di troppo’: “Sui nostri 165 tribunali – spiega Luigi Natoli, vicepresidente Anm – tanti sono quelli inutili, perché hanno un organico ridotto talmente all’osso da risultare ingestibili. La nostra proposta è accorparli per raggiungere un livello minimo di venti-trenta persone che permetta all’ufficio di non bloccarsi ogni qual volta c’è un’assenza”. Una proposta ancora inascoltata, “perché nessun politico vuole rinunciare al bacino di voti del piccolo tribunale sotto casa”. Né a Sud, dove le procure per i minorenni di Caltanissetta e Reggio non hanno neanche un sostituto, ma solo il capo dell’ufficio. Né a Nord, dove quelle di Pavia e Alba sono nella stessa situazione di Enna: su quattro sostituti previsti, in servizio ce n’è rimasto uno solo.

Se il corpo della “bestia” sta male, gli arti periferici non se la passano meglio. Province e comuni vengono sistematicamente falcidiati dalla dieta tremontiana. L’Anci ha calcolato che quest’anno entreranno nelle casse comunali un miliardo e 222 milioni in meno. Da una parte l’incudine dei minori rimborsi per l’Ici abolita e dei risparmi mai avvenuti sui compensi di consiglieri e assessori. Dall’altra il martello del Patto di stabilità: in tre anni il governo ha imposto un miglioramento dei conti per 4 miliardi e 145 milioni di euro. Quindi meno entrate e meno spese, ossia meno servizi per i cittadini. A Milano, ad esempio, l’Atm, l’azienda comunale che muove i meneghini, volendo migliorare la sicurezza dei tram, invece di investire in tecnologia, ha imposto ai conducenti dei veicoli più vetusti il limite di velocità di 25 chilometri all’ora. Tanto sono i milanesi a far tardi al lavoro. Per far fronte ai 160 milioni di buco nel bilancio di quest’anno, il sindaco Letizia Moratti sta poi ragionando su di una delle misure più odiose per i cittadini: un aumento della bolletta dell’acqua, che dall’anno prossimo dovrebbe costare il 10 per cento in più. Pochi chilometri più in là le cose non cambiano. A Torino Sergio Chiamparino ha deciso di far pagare alla cultura il prezzo della crisi: le tre principali fondazioni culturali (Musei, Teatro Stabile e Teatro Regio) perderanno circa un milione di euro a testa. E se i comuni grandi annaspano, ancor peggio va a quelli piccoli. A Dalmine, nel bergamasco, la giunta sta facendo gli scongiuri perché quest’anno non nevichi: in cassa ci sono meno di 20mila euro, troppo pochi per affrontare una nevicata come dio comanda. O per assumere uno sciamano. Invece quei sindaci che vogliono garantire i servizi al livello degli anni passati, non hanno potuto far altro che rimandare le spese per strade, ponti e infrastrutture a tempi migliori. Un fenomeno denunciato dalla Corte dei Conti, preoccupata per i mancati investimenti. A Reggio Emilia, ad esempio, il comune ha rimandato la variante alla via Emilia (la cosiddetta via Emilia bis), fondamentale per sgravare la storica strada fra Reggio e Parma. Così come dovrà rinunciare alla costruzione di una scuola media e di una elementare. “La cosa grave è che con questo Patto di stabilità siamo anche costretti a bloccare i pagamenti alle imprese per lavori già fatti, pure se in cassa ci sono i soldi”, sottolinea il sindaco Graziano Del Rio. “E nelle nostre condizioni c’è il 90 per cento dei comuni italiani”.

(L’Espresso, 26/11/2009)