G-20 Anti-Corruzione, ecco le proposte di Transparency

Stefano Pitrelli, L’Huffington Post

Fra lunedì e martedì a Roma si parlerà di corruzione, e una volta tanto se ne parlerà in maniera costruttiva: sarà il Gruppo di lavoro anti-corruzione del G20 — i paesi più industrializzati — a riunirsi intorno a un tavolo presieduto da Italia e Australia per discutere il rafforzamento delle politiche internazionali anti-riciclaggio. E in effetti, da premurosa padrona di casa, l’Italia la tavola per parlare di corruzione l’ha già bell’e imbandita: fra gli affari dei cantieri lagunari e milanesi, e l’affaire Clini — gli esempi concreti non mancheranno.

A dialogare coi governi — nell’ambito della società civile (il cosiddetto C20) — ci sarà anche Transparency International. Ecco alcune delle carte che l’ormai ventennale Ong calerà sul tavolo di questo incontro. Sarà un po’ come parlare di corda in casa dell’impiccato?

Chi c’è dietro le società occulte.
Il punto è, spiegano, che la corruzione è facile perché riciclare è facile. E riciclare è facile perché i nomi dei veri titolari delle società restano celati. “I politici corrotti [che] si sono avvalsi di società occulte per nascondere la propria identità — scrive Transparency — [sono il] 70% degli oltre 200 casi di grand corruption (cioè la corruzione che coinvolge personalità del mondo politico, ndr) rilevati dalla Banca Mondiale”. E anche nei rari casi in cui queste informazioni vengono condivise con le autorità, “ad oggi nessun paese le mette liberamente a disposizione del pubblico”. In sostanza Transparency chiede l’adozione di “registri pubblici di informazione sulla titolarità effettiva, liberamente accessibili e in formato leggibile da macchina”. Obiettivo che sostanzialmente costringerebbe gli appaltatori a mostrare, sempre, il loro vero volto. Ma ne guadagnerebbero anche gli imprenditori: si aiuterebbe le aziende a “identificare i possessori delle società con cui hanno rapporti, rendendo più consapevoli le proprie decisioni di investimento”. E questo vale anche per “l’abuso dei trust, delle fondazioni e di altre strutture giuridiche”.

Un Anti-Schengen per i corrotti.
Il corrotto gode spesso dei frutti della sua corruzione fuori dai confini del proprio paese. Ma a livello del G20 si sta lavorando a sbarrare loro la strada per l’estero. Cosa giuridicamente non facile, e per alcuni versi rischiosa. Infatti, sostiene Transparency: “[Bisogna evitare] i rischi e le preoccupazioni che la sua applicazione sia disomogenea e arbitraria”. In sostanza, bisogna prevenirne l’abuso. In alcuni paesi, da alcuni primi casi, il processo parrebbe avviato: cioè Australia, Canada, Cina, India, Giappone, Sud Africa, Spagna, Turchia, Regno Unito e soprattutto Stati Uniti, dove ai corrotti e ai loro familiari può essere negato l’accesso anche senza una condanna.

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Come riprendersi il maltolto.
Il frutto della corruzione finisce spesso per essere gestito dai grossi giocatori della finanza internazionale, su conti offshore sparsi per il mondo. La difficoltà è duplice: quella di ritrovarlo, e quella di riprenderselo: “Il congelamento dei beni è lento”, scrivono quelli di Transparency, “e il sequestro difficile, mentre le indagini internazionali sono complesse e costose. Si stima che il 99% dei fondi di natura illecita resti celato, e che il tasso di sequestro sia solo dello 0,2% di quelli individuati”. I consigli di Transparency? Adottare regole comuni per il recupero dei beni. Evitare che, una volta congelati, restino in tasca alle istituzioni finanziarie che hanno aperto loro le porte. Garantire che, al momento della loro restituzione, vengano impiegati in modo trasparente. E, ancora una volta, sempre in tema di trasparenza, creare dei registri pubblici condivisi. Gli ostacoli? Poca cooperazione, troppa segretezza da parte delle banche, leggi complicate. E se le indagini sono complicate, il corrotto ha tutto il tempo di prendere “contromisure”. Mentre le istituzioni finanziarie che ne traggono beneficio non hanno niente da temere, visto che “non vengono ritenute responsabili della loro complicità”.

La tutela della talpa.
In inglese è “whistleblower”, la gola profonda, l’uomo che dall’interno vede, e decide di parlare. Che sia dipendente pubblico o privato, che sia un consulente o un appaltatore. L’argomento delle “vedette civiche”, spiegano da Transparency all’Huffington Post, è particolarmente interessante “perché sara uno dei più discussi”. La talpa, quindi, va protetta. Perché è preziosa: “Gioca un ruolo chiave nel portare alla luce comportamenti corrotti o altre malefatte”. Ma anche perché la sua scelta di parlare è ad “alto rischio personale”. Quindi tutelarla significa “creare canali sicuri di comunicazione, proteggendola da rappresaglie e/o premiandola per il suo aiuto”. Come? Innanzitutto “i leader del G20 dovrebbero riconoscere pubblicamente quanto cruciali siano i whistleblower nell’identificazione veloce ed efficace della corruzione”. In concreto Transparency propone fra l’altro l’istituzione di un’autorità indipendente alla quale il whistleblower può rivolgersi direttamente laddove ritenga di aver subito la vendetta del datore di lavoro. Allo stato attuale delle cose, per quanto riguarda l’Italia (ma non solo), la soffiata è tutelata solo nella pubblica amministrazione, ma non nel settore privato.