update / Il Déjà Vu del Riformista, 2

Dove la Farnesina promette “tempi rapidi” per l’apertura degli archivi di Bad Arolsen.***

Sì del governo all’apertura dell’archivio nazista

di PAOLO SOLDINI

«Tempi rapidi». Dalla Farnesina arriva la risposta alla questione sollevata ieri dal Riformista sull’archivio di Bad Arolsen. Ed è una risposta positiva: «Nel condividere pienamente la necessità di una tempestiva attuazione dei protocolli per l’apertura degli archivi – dice una nota diffusa ieri mattina – da parte italiana è stato stabilito che il processo di ratifica avverrà in forma semplificata. Tale procedura, che è già in fase avanzata – aggiunge il ministero degli Esteri – ne consentirà la conclusione in tempi rapidi». La «forma semplificata» dovrebbe significare che la ratifica non verrà sottomessa alle Camere ma, con un atto del governo, finirà direttamente sul tavolo del Presidente Napolitano. Il quale – precisano alla Farnesina – dovrebbe firmarla «nel giro di qualche settimana, forse di qualche giorno». Se non fossimo nel bel mezzo di agosto, la questione si risolverebbe entro il mese. Considerato il periodo, probabilmente si andrà più in là: «Ma si parla comunque di settimane, non di mesi».Insomma, si avvia a conclusione una vicenda sulla quale il nostro paese (per colpa, va detto, non del governo attuale ma di quelli precedenti) rischiava una figura disastrosa. E che, soprattutto, feriva la sensibilità e deludeva le attese di una grande quantità di italiani, soprattutto ma non solo di origine ebraica, che dalle carte custodite nei sotterranei della cittadina tedesca aspettano giustizia o, almeno, risposte a domande vecchie ormai di parecchi decenni.

Non si sa, al momento, quanti siano i dossiers che riguardano cittadini italiani nei 50 milioni di documenti, relativi ad almeno 17 milioni di persone, custoditi a Bad Arolsen. Sicuramente ci sono i dati relativi agli ebrei internati nei campi di concentramento e nei campi di sterminio che sono passati per il territorio del Terzo Reich. Si tratta di dati già noti per altre fonti, ma che potrebbero comunque riservare sorprese: con quali verbali di accompagnamento, per esempio, arrivavano gli ebrei italiani ad Auschwitz e negli altri Lager? Quanti passarono per i campi di transito allestiti dai fascisti? Quanti furono consegnati alle SS direttamente dalle milizie o dalla polizia della Repubblica di Salò?

Un altro grosso filone di ricerca dovrebbe riguardare i militari italiani “internati” in Germania dopo l’8 settembre. Si tratta di circa 600 mila tra soldati e ufficiali dell’esercito italiano che rifiutarono l’arruolamento nelle forze armate della Repubblica di Salò e furono per questo trasferiti in Germania e trattati come impropri prigionieri di guerra. Di loro, curiosamente, si sono occupati più gli storici tedeschi che gli italiani. Si sa che moltissimi morirono di stenti, altri caddero sul fronte orientale dove erano stati spediti a costruire fortificazioni, parecchie migliaia scomparvero semplicemente nel nulla. Si pensi che ancora negli anni ’90, dopo l’unificazione tedesca, c’erano famiglie che ricevevano i resti dei loro cari ex internati che venivano ritrovati nella ex Rdt. Accanto ai militari, ci fu poi una certa emigrazione civile: edili e braccianti che si erano trasferiti in Germania negli anni ’30 e ’40 sulla base di accordi tra i sindacati fascisti e le organizzazioni naziste. Si sa che un gruppo di edili italiani lavorò alla costruzione della fabbrica chimica di Buna-Monowitz, in cui furono utilizzati come schiavi i prigionieri di Auschwitz (tra cui Primo Levi). Nei dossiers di Bad Arolsen, inoltre, dovrebbero trovarsi i nomi degli italiani che, insieme con altri prigionieri di guerra e agli ebrei schiavizzati furono costretti a lavorare per le aziende tedesche: la Mercedes, la Siemens, la Ig-Farben, oppure per lo stato nelle fabbriche di armi, come quella sotterranea di Dora-Mittelbau, dove in condizioni inumane si producevano le V2. Si tratta di persone che hanno, o possono rivendicare, un diritto al risarcimento, così come i tanti, prevalentemente ebrei, che furono invece espropriati di beni e proprietà.

A questo proposito va registrata un’altra buona notizia arrivata ieri. Rispondendo indirettamente a quanti l’avevano chiamato in causa come possibile corresponsabile del no italiano all’apertura degli archivi, il gruppo delle Assicurazioni Generali, che ha già sborsato ben 170 milioni di dollari e potrebbe trovarsi a dover pagare altri forti indennizzi per le polizze incamerate negli anni di guerra, non solo ha smentito di essere in qualsiasi modo contrario, ma ha fatto sapere di aver intrapreso nelle settimane scorse un «passo formale» con il governo italiano perché si adeguasse alla linea degli altri dieci favorevoli all’apertura. Coerentemente, ribadiscono a Trieste, con la particolare sensibilità di un gruppo che è storicamente vicino alle comunità ebraiche.

Infine un cenno all’altro possibile imputato per il (passato) boicottaggio italiano. Dal Vaticano non è venuta alcuna reazione al fatto che si sia prospettata l’ipotesi di un “interesse al silenzio” che sarebbe stato fatto valere nei confronti delle autorità italiane. Un interesse fondato sulla consapevolezza degli aiuti che la Santa Sede, subito dopo la guerra, fornì a diversi criminali nazisti che fuggivano dall’Europa. Si tratta di un capitolo che è stato già trattato, in passato, ma sul quale dalle carte di Bad Arolsen potrebbe venire qualche nuova luce.

(Il Riformista, 9/8/2007)