Dopo il caso Lusi, parte la caccia al tesoro dei partiti

Stefano Pitrelli, Il Venerdì di Repubblica

CHE, COME SVELA UN LIBRO DEL DEPUTATO API PINO PISICCHIO, SI NASCONDE NELLE FONDAZIONI. E LI’, TRA ASSENZA DI REGOLE E NESSUN OBBLIGO DI TRASPARENZA, CRESCE INDISTURBATO E AL RIPARO DA NUOVI SCANDALI.

La vicenda di Luigi Lusi, il tesoriere della Margherita accusato di aver sottratto 13 milioni di euro alle casse del partito confluito nel Pd, ha svelato al pubblico che le voci sulla morte della Margherita erano premature. Infatti esiste ancora, così come i Ds e An. In forma di fondazione, a tutela dei patrimoni “originari”. I partiti, insomma, sono creature dalla pellaccia dura, si rifiutano di morire, e sopravvivono alla fine della loro vita politica naturale trasformandosi: una specie di crisalide al contrario. Questo è solo uno dei “misteri” studiati da Pino Pisicchio, capogruppo alla Camera dell’Api, in un libro dal titolo Le fondazioni politiche in Italia (editore Cacucci). Un saggio tecnico-giuridico che in realtà nasconde un’inchiesta sul coltellino svizzero della politica italiana. Già, perché come le correnti di una volta, ormai non c’è big che non ne presieda una: da D’Alema, pioniere negli anni 90 con la sua Italiani Europei, a Fini con la sua Fare Futuro, dal Centro per un futuro sostenibile di Rutelli, a Symbola di Realacci, da Fondazione Europa Civiltà di Formigoni alla Medidea di Pisanu, dalla Nuova Italia di Alemanno alla Magna Carta di Quagliariello e Pera. A Tremonti, Frattini, Cicchitto, Matteoli, Adornato, Lupi e così via.

Del resto, una fondazione serve sempre, anche perché gode degli stessi (notevoli) sconti e vantaggi fiscali delle onlus: per loro i fondi raccolti, siano essi pubblici o privati, non fanno reddito. Inoltre – cosa non da poco – il flusso dei finanziamenti non va reso pubblico. E questo in un Paese dove comunque, al di sotto dei 50mila euro a partito, il gentile lobbista può restare tranquillamente anonimo (al di sotto dei 20 mila, per il parlamentare). Pisicchio denuncia proprio l’ambiguità di un “terreno franco” delle lobby. E in effetti, va ricordato, il triangolo fra favori politici, fondazioni, e aziende è stato al centro di un’indagine aperta dalla Procura di Roma alla fine dell’anno scorso sulla presunta tangente Enac, vicenda che ha visto coinvolto il fund raiser di Italiani Europei.

Una fondazione, poi, può essere anche ciambella di salvataggio per carriere politiche a rischio o ridotte al lumicino. È il caso di Alfonso Pecoraro Scanio, scomparso dalla scena mediatica, ma non da quella ecologista, grazie alla sua nuova UniVerde. Lo stesso Roberto Maroni (lo si è detto nei giorni della fatwa di Bossi, ma la notizia è stata confermata più in là, a tregua siglata) sarebbe intenzionato a crearne una. Del resto, come dire, una fondazione fa anche trendy. Anche a costo di arrogarsene impropriamente il titolo. Come Brunetta, con la sua Free Foundation – che in realtà è una semplice associazione. Così pure Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo: celebrata come fondazione, ma solo per questioni d’immagine.