Benedetto sia quel divorzio

ATTUALITA’ – ADDIO IN STILE CATTOLICO / Aumentano i casi di annullamento della Sacra Rota. Perché i tempi sono più brevi. E i costi diminuiti.

Rapido, poco costoso. Il divorzio all’italiana sempre più spesso si chiama annullamento. I numeri parlano chiaro. Secondo le stime degli avvocati matrimonialisti, su 163 mila unioni con rito concordatario, nel 2009 ci sono state 8.400 richieste di nullità, 5.800 delle quali arrivate a buon fine (contro i 50 mila divorzi ‘statali’). Tutti matrimoni ‘davanti a Dio’ che i tanti tribunali ecclesiastici sparsi per il Paese hanno dichiarato ‘nulli’: come non fossero mai esistiti (tranne per eventuali figli). In aumento ogni anno, e infatti è da tempo che papa Ratzinger va ripetendo quel che ha ribadito anche a fine gennaio incontrando i membri del Tribunale della Rota Romana: il rischio è “oscurare l’essenza stessa del matrimonio”, pur di superare “gli ostacoli alla ricezione dell’eucaristia”.

Ma se si moltiplicano gli italiani che si rivolgono ai Ter non è solo per tornare a fare la comunione. Il fatto è che negli ultimi tempi si sta assistendo a una democratizzazione di quel percorso che fino a poco tempo fa sembrava esclusiva dei vip. Come Irene Pivetti, ex presidente della Camera oggi presentatrice, che ai giudici rotali dichiarò di non aver voluto figli dal primo matrimonio, o l’ex campionessa di sci di fondo e deputata Pdl, Manuela Di Centa, approdata alla nullità perché stanca di sentirsi, da divorziata, “cattolica a metà”. O come Daniela Santanchè, che grazie alla Rota ha fatto piazza pulita del suo matrimonio (tranne il cognome del marito).

Oggi, infatti, i costi non sono alti come una volta. “Dal 2004 un decreto Cei ha fissato tariffe minime e massime. Poi se una persona è indigente il tribunale può anche nominare un avvocato d’ufficio, disponendo una riduzione, o una rateizzazione”, spiega Antonella Angelillo, ‘patrono stabile’ del Ter pugliese, uno degli avvocati che lavorano col tribunale. Fermandosi ai primi due gradi di giudizio, i costi sono al massimo di 4 mila euro. Passare dalla Rota, invece (cioè una specie di Cassazione), significa spendere la stessa cifra per la sola pubblicazione su carta degli atti, arrivando a sborsare almeno il doppio. Dopodiché qualche altra migliaia di euro se ne può andare per chiedere al tribunale civile di confermare gli effetti della sentenza per il diritto italiano (cosa che, confermano i matrimonialisti, succede il 70 per cento delle volte).

Se tutto va bene, insomma, e soprattutto se moglie e marito sono d’accordo, come accade nella metà dei casi, tutto si risolve in un paio d’anni. “Altro che i tempi della giustizia civile”, chiosa Diego Sabatinelli, segretario della Lega italiana per il divorzio breve, “per ottenere un divorzio consensuale meno di 4 anni non ci metti. E se non è consensuale, non meno di 5”. Ma per un divorzio in via giudiziale “si può arrivare persino a più di dieci anni”, aggiunge Gian Ettore Gassani, presidente dei matrimonialisti. E, stando ai conti del ‘Sole 24 ore’, fino a più di 12 mila euro.

Il risparmio non finisce qui: come una macchina del tempo, una dichiarazione di nullità fa cessare anche quei ‘fastidiosi’ effetti secondari come gli assegni di mantenimento e i diritti ereditari. Visti i tempi della giustizia italiana, insomma, puntare sulla Rota è molto più veloce, e probabilmente anche più economico. “È colpa dello Stato italiano”, osserva Eugenio Mete, avvocato rotale, “che avrebbe potuto legiferare concedendo al coniuge ‘annullato’ un’indennità assimilabile all’assegno di separazione o divorzio”. Al di là dei casi più estremi, conclude Gassani, “la nullità sta diventando una scappatoia per il cittadino comune. Se passasse il divorzio breve, una buona metà di tutte quelle istanze di annullamento non ci sarebbero più”.

(L’Espresso, 12/3/2010)